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Il suocero del mio migliore amico - 2


di adad
01.05.2019    |    27.241    |    18 9.7
"“Voltati”, mi disse, dandomi lui stesso la spinta a farlo..."
Giunti in camera, Pietro mi strinse di nuovo a sé e riprese a baciarmi; intanto mi infilava le mani sotto le mutande e mi pastrugnava le natiche, andando con le dita nello spacco, nel tentativo di sondarmi il buco del culo.
Mi resi allora conto di non essere al meglio della presentabilità, in quanto il suo arrivo improvviso non mi aveva dato tempo di provvedere alla mia igiene personale.
“Aspetta, Pietro, aspetta. - protestai, allora, cercando di allontanarlo – lasciami andare un momento in bagno… mi sono appena alzato…”
“Non ce la faccio, - rispose lui – sono troppo eccitato. Senti?”, e mi prese la mano, portandosela all’inguine, dove sentii effettivamente una protuberanza enorme pulsarmi sotto le dita.
“Al diavolo! Ti voglio, Angelo, ti voglio adesso… - riprese - è da ieri che ti desidero, dal momento che ti ho visto… e stanotte non ho chiuso occhio per te…”
Decisamente, era un tipo che andava per le spicce. Ma contemporaneamente, palpare il suo nerchio che scalpitava nella stretta chiusa dei jeans, aveva acceso anche le mie papille gustative; così, sedutomi sulla sponda del letto, gli sbottonai freneticamente i jeans, glieli calai a mezza coscia assieme alle mutande e rimasi un momento abbagliato dalla fiera possanza del suo cazzo che dondolava pesantemente all’aria, beandosi della libertà a cui lo avevo restituito. Un filo di presborra gli colava traslucido dalla punta.
Era in piedi davanti a me: mi sporsi leggermente in avanti e allungai la lingua a lapparlo: era viscido e insapore; ma l’afrore maturo che si diffondeva dal suo sesso mi inebriò. Lo impugnai a metà e tirai giù la pelle carnosa del prepuzio: la cappella snudata sembrò quasi espandere le sue ali, mentre un’altra colata sgorgava copiosa dal taglietto.
Non resistetti oltre: mi accostai e lo accolsi in bocca con un mugolio di soddisfatta ingordigia che fece il pari con il suo di soddisfatto sollievo. Era talmente grosso, che mi entrò in bocca poco più della cappella, ma bastava per svirgolargli attorno con la lingua e imprimergli un minimo di suzione, mentre con la mano facevo scorrere lentamente la guaina carnosa che rivestiva l’anima di ferro.
Pietro fremeva, sospirando e carezzandosi le palle, che dovevano essere piene e, immagino, doloranti.
“Sì… - mormorava – sì… così, tesoro… Ah che sollievo… Dai svuotami… dammi sollievo…”
Eccitato com’era, non durò comprensibilmente a lungo: dopo appena qualche minuto, infatti, cominciò a tremare, ad ansimare, a torcersi tutto, mentre sentivo il suo cazzo gonfiarsi e irrigidirsi. Allora tolsi la bocca per continuarlo a segare con la mano. Ma non feci in tempo a scostarmi del tutto, che un fiotto corposo mi raggiunse sulla guancia e il resto sul collo e sul petto, infradiciandomi la maglietta. Appena si fu un po’ ripreso, chinatosi a prendermi con le mani sotto le ascelle, Pietro mi rialzò e, stringendomi a sé, prima mi leccò il suo seme dalla guancia, poi con un sorriso deliziato mi diede un bacio a fior di labbra.
“Vai a farti una doccia, - mi disse, sorridendo – ché voglio leccarti a fondo la fighetta, prima di scopartela.”
Quelle lubriche parole, accompagnate da una pacca sonora sulla chiappa, che mi indirizzava verso il bagno, furono una sferzata di libidine che mi rintronò fino al cervello. Sulla porta del bagno mi voltai:
“Prima dovrai svuotarmi questo, però.”, ghignai con la sua stessa franchezza, stringendomi l’uccello ormai mezzo fuori dalle mutande scomposte, che mi tolsi del tutto e scalciai verso di lui.
“Ci puoi contare.”, rispose, leccandosi le labbra.
Francamente, non saprei dire cosa diavolo mi stava succedendo: sono una persona posata, in genere sono anche timido e imbranato, specialmente nelle questioni di sesso; da dove sortiva adesso tutta questa spudoratezza? Era colpa, o merito, di Pietro? della sua franchezza, che aveva scoperchiato il vaso di Pandora dei miei istinti più bassi?
Con la testa straniata, quasi febbricitante, aprii l’acqua della doccia, mi tolsi anche la maglietta e mi ci buttai sotto nudo, abbandonandomi con un sospiro beato alla calda carezza del getto quasi bollente. Avevo appena cominciato a sciogliere la tensione, quando sentii una mano che cominciava delicatamente a insaponarmi le spalle: Pietro, infatti era entrato in bagno, si era spogliato anche lui e, senza che me ne accorgessi era scivolato nella doccia dietro di me.
Con un sospiro di goduria, feci per voltarmi e abbracciarlo, ma lui mi afferrò per le spalle e mi tenne fermo:
“Non muoverti, non girarti, - mi disse – altrimenti perdo la testa un’altra volta. Lascia che ti aiuti.”
Allora non mi mossi, diminuii soltanto il getto della doccia, e lasciai che Pietro si occupasse di me. E lui mi insaponò le spalle, fin sotto le ascelle, facendomi un leggero solletico; poi, scese con la saponetta, passandomela con abbondanza sulle natiche e dentro lo spacco del culo; infine si chinò a insaponarmi le cosce e le gambe fino alle caviglie. Finito che ebbe, si rialzò, mi si addossò, mi passò attorno le braccia e prese a passarmi la saponetta bagnata sul petto, indugiando sui capezzoli, sul ventre, sul pube…
Mi impugnò con una mano il cazzo teso allo spasimo e con l’altra mi insaponò prima lo scroto e poi asta fremente, tirando giù il prepuzio e insistendo voluttuosamente sulla cappella.
“Mi fai sborrare…”, sguaiolai.
Pietro, allora, mise via la saponetta, riaumentò il getto della doccia e prese a sciacquarmi con le sue stesse mani… ma più che risciacqui, le sue erano carezze sul mio corpo. Continuava a stringermi a sé da dietro, infilandomi fra le cosce il suo cazzo duro, e intanto mi passava le sue mani dappertutto, raccogliendo anche l’acqua con le mani per versarmela nei punti più celati.
D’un tratto, mi baciò sulla nuca.
“Voltati”, mi disse, dandomi lui stesso la spinta a farlo.
E quando mi fui girato, Pietro si inginocchiò, mi afferrò con una mano il sesso turgido e se lo portò alla bocca, ingoiandone una buona metà, mentre l’acqua calda ruscellava sulle nostre schiene. Il rapporto fu breve, ma di un’intensità mai provata: quando venni, le gambe mi tremavano tanto, che mi accasciai con un gemito sul pavimento della doccia.
“Angelo!”, gridò Pietro, chinandosi a prendermi fra le sue braccia.
“Non è niente… - mormorai – non è niente, non preoccuparti. Non avevo mai avuto un orgasmo così forte.”
Pietro mi aiutò a rimettermi in piedi, poi chiuse l’acqua e con una premura, che ormai non serviva più, mi aiutò ad uscire dal box, mi fece sedere su uno sgabello e prese ad asciugarmi con cura.
“Devo stare più attento la prossima volta, - mi disse con un sorriso – non vorrei che ti capitasse qualcosa.”
Dopo avermi asciugato, mi tirò in piedi e mi accompagnò in camera, quasi sorreggendomi:
“Stenditi un po’.”, mi disse, facendomi sedere sulla sponda del letto.
“Sto bene.”, protestai.
“Mica tanto, se sei quasi svenuto per una sborrata!”
Andò in cucina a preparare del caffè e quando rientrò in camera, rimasi abbagliato alla vista del suo corpo nudo e dell’uccellone che gli penzolava moscio fra le gambe.
“Cosa c’è?”, fece lui avvicinandosi.
“Sei bellissimo.”, dissi con aria rapita.
“Mai quanto te, credimi.”, rispose lui con un sorriso.
Depose sul letto il vassoio con due tazze e alcuni biscotti, e si sedette vicino a me.
Mi mise davanti il caffè e il piattino coi biscotti:
“Su, rifocillati bene, ché ti aspetta un duro lavoro.”, disse scherzando.
“Un duro lavoro di cosa?”, feci con aria di finta preoccupazione.
“Non penserai mica che abbiamo finito!”
Sembrava davvero impaziente di riprendere i nostri giochi ed in effetti, sbirciandolo in mezzo alle gambe con la coda dell’occhio, lo vidi nuovamente eccitato.
Non avevo ancora finito di sbocconcellare l’ultimo biscotto, che Pietro tolse di mezzo il vassoio, poggiandolo sul comodino, e si sdraiò accanto a me, girandomi bocconi e cominciando a carezzarmi vogliosamente il culo.
“E’ questo che voglio… - mormorò dandosi bramosamente a baciarmi e mordicchiarmi le natiche – che culo fantastico… L’ho desiderato dal momento in cui ti ho visto, ieri, e se non ci fosse stata tutta quella gente, ti avrei inculato seduta stante!”
“Ehi, - scoppiai a ridere – vai subito al punto, tu!”
“Io sono fatto così: se voglio una cosa, lo dico e basta.”
“Me ne sono accorto.”
“Se ti ho offeso, ti chiedo scusa. Ma è molto meglio l’approccio diretto, piuttosto che perdere mezza giornata in convenevoli e magari non concludere niente, perché l’ispirazione è passata. E adesso sta zitto e lasciami adorare questo magnifico culo che non vedo l’ora di fottere!”
“Ehi, guarda che sono ancora vergine.”
“Oh, tesoro, allora oggi è il tuo giorno fortunato.”, e riprese a baciarmi e leccarmi le natiche; finché me le aprì lui stesso con le mani e mi baciò il buchetto.
Fremetti a quel contatto del tutto nuovo per me e un gemito di puro piacere mi sfuggì dalle labbra, quando avvertii la sua lingua picchiettarci sopra e penetrare all’interno.
“Mmmmmm… fantastico…”, lo sentii mugugnare.
“Per favore, non farmi male…”, gemetti io, preso da un’improvvisa paura.
“Non temere, tesoro: coglierò la tua ciliegina in punta di farfalla.”
Quelle parole mi tranquillizzarono, qualunque cosa volessero significare, e mi lasciai andare alle sue sapienti manipolazioni: lui sapeva cosa fare…
E lo sapeva per davvero: continuò a leccarmi sempre più a fondo, infilandomi ogni tanto un dito ben unto, attento alle mie reazioni, intensificando o rallentando, a seconda dei fremiti o dei gemiti con cui reagivo e di cui sapeva cogliere il significato profondo.
A poco a poco, ogni mia paura scomparve, mentre mi sentivo estraniare e trasportare su un diverso piano di coscienza. Pietro seppe aprirmi così bene, che non lo sentii nemmeno entrare, lo giuro: mi accorsi che era dentro di me, solo quando mi strinse forte a sé, premendo il bacino, e io sentii il cespuglio crespo del suo pube sfregarmi contro la pelle delle natiche. Fu allora che realizzai quanto era successo e avvertii d’un tratto un senso di pienezza e il forte stiramento dello sfintere attorno al suo paletto.
Pietro era sopra di me: il calore del suo petto si trasmetteva alla mia schiena, mentre il calore del suo cazzo scioglieva a poco a poco le residue resistenze e mi trasmetteva un profondo senso di piacere. Nessuno dei due diceva una parola: non ce n’era bisogno. Pietro iniziò a cavalcarmi e il senso di piacere che provavo divenne più coinvolgente ad ogni affondo. Era un vero stallone, un magnifico, infaticabile animale da sesso.
Quando mi accorsi che cominciava ad ansimare e capii che l’orgasmo era imminente:
“Vienimi dentro! – gli dissi – vienimi dentro, per favore, voglio sentirti…”
“Sì, tesoro… - fece lui con voce rotta – ti vengo dentro… ti riempio tutto…”
E in quel momento, si irrigidì, con un guaito mi strinse forsennatamente e lo scatto del suo cazzo rigido mi batté sulla prostata una volta, due, tre… portando pure me quasi all’orgasmo.
Quando lo tirò fuori ormai molle, allungai la mano a tastarmi con le dita il buco devastato: era molle, ancora largo e fradicio di umori. Ma quello che mi stupì fu lo sconvolgente senso di vuoto che il suo cazzo mi aveva lasciato.
Ci abbracciammo stretti e restammo a lungo senza parlare, ascoltando i nostri cuori che battevano all’unisono, mescolando nei baci il nostro respiro, colmando con le carezze il bisogno che avevamo l’uno dell’altro.
Facemmo ancora l’amore ed era quasi notte, quando stanchi, ma non sazi, come diceva l’antico scrittore, ci togliemmo dal letto per fare una doccia e mangiare qualcosa.
Poi arrivò il momento di rivestirci e separarci.
“Ti rivedrò?”, gli chiesi con la morte nel cuore.
Lui si guardò attorno, raccolse da terra le mie mutande e se le infilò, dandomi le sue.
“Non è molto romantica come promessa, - disse, fissandomi negli occhi – ma così tu saprai che porto con me qualcosa di tuo e io saprò che ti lascio qualcosa di mio. Tornerò, non temere, e più presto di quanto credi.”
E infatti tornò… e più presto di quanto credessi.
Ma adesso scusate: è appena arrivato e mi sta chiamando dalla camera da letto.

FINE
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